a “lezione” dai compagni romani di UNIRIOT….

Democrazia e Crisi: seminario con Mario Tronti – La Sapienza – Roma
12/12/2007
(per scaricare il materiale dell’autoformazione cliccare su Album/Documenti Lab Aut)

Dopo l’introduzione dei compagn*
del collettivo SP2 (leggevano troppo velocemente quindi ce lo siamo perso) la
parola è passata al grande vecchio.

Tronti, marxianamente, critica la
democrazia usando il termine “per la critica della democrazia politica”
assumendo, come lo stesso Marx fece nella sua critica all’economia politica,
tutta la tradizione teorica precedente in quanto non può esistere un’altra
democrazia politica, come non poteva esistere un’altra economia politica.

Il campo di analisi riguarda la
democrazia dei moderni (nel pensiero politico che va dal liberalismo
dell’ottocento fino al pensiero democratico novecentesco) passando dalla fase
del capitalismo libero/concorrenziale fino al capitalismo sociale, che trova la
sua massima espressione nel sistema dello stato sociale.

In questo contesto il rapporto
individuo/stato viene declinato, dopo la crisi dello stato liberale
immediatamente dopo la prima grande guerra, in due tronconi:

  • Totalitarismo 900
  • Democrazia occidentale

La Grande guerra aveva intanto
contribuito alla “socializzazione” e “nazionalizzazione” delle masse
continuando il percorso iniziato con le prime rivendicazioni dei movimenti
socialisti. Nelle mille difficoltà della guerra di trincea la socializzazione
passò attraverso la reciproca solidarietà dei soldati al fronte impegnati in
lunghe battaglie sanguinose ed estenuanti. Questo fenomeno si può osservare nei
“consigli” di soldati/operai soldati/contadini in Russia che poi daranno vita a
quel potere embrionale caratterizzante il sistema sovietico totalitario,  sia negli stati liberali dove questa
commistione “socializzazione ” “nazionalizzazione” porterà al crollo dello
stesso sistema liberale e che fa dire a Tronti che la guerra fu antiliberale
proprio perché portò al collasso lo stato liberale fino a quel punto dominante
nella scena europea

Dopo la seconda guerra mondiale
vi fu il trionfo della soluzione democratica 
Essa si presenta come la democrazia delle masse, dei partiti di massa,
che supera la soluzione liberale, portando a conquiste sociali riformistiche
(più o meno radicali). In questi anni comincia il rapporto Europa/Democrazia,
che vuol dire americanizzazione, ovvero esportazione vincente del modello
americano democratico (Touqueville). Si passa così dalle masse (sfondo sociale
articolato in classi e i loro referenti partitici e sindacali) alla massa
(omogenea e indistinta).

Dalla fase
socializzazione/nazionalizzazione si passa alla fase della massificazione sia
della società che dello stato, appellata da Tronti come democrazia REALE (il
rimando al socialismo reale è esplicito e proprio per questo né socialismo né
democrazia sono concetti da ripensare e riproporre in quanto già storicamente
dati).

 

Con l’assunzione della democrazia
come valore in sé il movimento operaio si suicidò. Esso non fu sconfitto dal
capitalismo, con cui aveva un rapporto conflittuale ma dove, tuttavia, i
rapporti di forza variavano a seconda delle situazioni, ma la sconfitta fu
determinata dalla democrazia stessa e più specificatamente dall’universalismo
democratico
che distrugge le differenze di classe (riprendendo Schmitt il quale diceva che la cultura
identitaria è nemica delle differenze, e quindi la più forte critica della
democrazia è la forza delle differenze). La democrazie è basata su una
dimensione quantitativa e massificante (infatti la massa è una). Nel
capitalismo maturo non è l’individuo l’elemento centrale, ma l’individuo
massificato che quantitativamente produce, consuma, scambia. La qualità è
anticapitalista. La lotta per l’egemonia, per dirla con Gramsci, sta nel
portare la qualità a livello superiore della quantità. Da ciò viene rifiutato
il principio di maggioranza perché essa è intrinseca all’ordine massificato. 

Dal momento che si accetta il principio una testa un voto la prospettiva
rivoluzionaria muore. Acquisire la pratica democratica o dichiarare chiuso il
processo rivoluzionario equivale a dire la stessa cosa. Al di fuori della
doppiezza (i rivoluzionari sopravvivono e crescono meglio in democrazia) la
democrazia non è utilizzabile. Essa è intrinseca al capitalismo perché si è
evoluta con esso e quindi il superamento del capitalismo equivale al
superamento della democrazia.

 

Nell’insieme eterogeneo del popolo una classe (operaia) si eleva a classe
per sé. La classe operaia diviene così più di popolo e anche se minoritaria si
organizza e lotta. Con le sconfitte operaie di fine anni 70 però essa compie il
salto inverso tornando popolo, e quindi il processo rivoluzionario si spegne
perché il popolo è la base legale del potere politico della sovranità moderna.

Nel divenire minoritari non dobbiamo divenire minoranza (Deleuze).

Elaborare un pensiero a-democratico ( non anti-democratico) è il nostro
compito per una riproposizione di una teoria politica della minoranza che sia
centrale e non marginale e che sappia oltrepassare la frontiera democratica.
Questa è la forza che deriva dal filone di pensiero operista che vedendo gli
operai come parte, come minorità in rapporto alla quantità, fu però capace di
portare l’operaio a potenza egemone, maggioritaria, dal punto di vista
qualitativo.

 

La democrazia politica non fa altro che secolarizzare l’idea del popolo
di dio prediletto, in  questo caso
americano  (come si nota nei continui
riferimenti a dio nella costituzione o nei discorsi alla nazione del
presidente) chiamando esso al ruolo di civilizzatore. Il popolo di dio è lo
stesso popolo alla base del pensiero democratico.

 

Infine la discussione si incentra sul rapporto tra legittimità  e legalità. La minoranza è sempre legittima
ma non sempre legale. Se pensiamo all’abolizione del sistema capitalistico da
parte delle forze rivoluzionarie  esso è
legittimo, ma non legale. Ma ciò avviene perché la legittimità nasce nelle
stato d’eccezione mentre la legalità nasce nello stato d’ordine.

 

Dopo l’intervento fiume di Tronti l’assemblea ha fornito spunti
interessanti che sintetizzo in punti:

  • la crisi
    del normativismo è dovuta al fatto che le norme pensate per la tutela dei
    più deboli sono in realtà a difesa dei più forti (universalismo
    aggressivo);
  • il
    capitalismo ha vinto non sull’esclusione ma sull’inclusione dove la
    partecipazione senza prendere parte si può considerare come prosecuzione
    della democrazia;
  • Il
    capitalismo basato sull’individualismo diviene assunzione subalterna della
    singolarità e bene più pericolosa di quella disposizione massificante che
    mirava ad impedirlo;
  • l’universalismo
    democratico neutralizza il conflitto.

 

P.S.

(mi rivolgo alle compagne Anna e Benedetta)

Correzione e/o integrazioni sono ben accette

 

Flavio – Lab.Aut UNIPG

13/12/07

 

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